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RIFLESSIONI: Prima e dopo il “DATO”… piccolo o grande che sia

20 Novembre 2019

All’inizio erano i big data. Ovvero la possibilità di estrarre informazioni e insights da “fiumi di dati” (il nuovo oro nero, come si dice). L’inizio – si intende – non è molto in là nel tempo. Tuttavia in un mondo in cui il cambiamento tecnologico è incessante, dieci anni sembrano un’era geologica. Poi, nel 2016, il successo del libro di Martin Lindstrom ha riportato sotto i riflettori i benefici di dati “estratti” mediante un approccio basato sull’osservazione e il rapporto diretto con le persone (i consumatori). I cosiddetti small data.

La contrapposizione tra small data e big data richiama alla mente quella tra ricerca qualitativa e ricerca quantitativa. Verrebbe quasi la tentazione di sovrapporre i termini, di considerarli quasi sinonimi, un modo diverso con cui fare riferimento ad approcci già consolidati che segue una moda linguistica.

Tuttavia i termini non coincidono. Small data e big data devono essere considerati come la presa di consapevolezza che le ricerche di mercato stanno entrando in una nuova era, in cui potenza di calcolo e innovazione tecnologica sempre più ne ridefiniranno i perimetri e le capacità.

Rispetto al passato, oggi siamo in grado di raccogliere in maniera più semplice ed efficiente i dati. Organizzarli in modo da proporre letture più approfondite o per scoprire correlazioni illuminanti. Siamo in grado di gestire dataset enormi, di connetterli tra loro per raccontare in maniera sempre più precisa i fenomeni e i comportamenti di nostro interesse e per prendere decisioni tempestive che siano data driven, basate cioè sull’evidenza delle osservazioni.

Si tratta di un processo in essere che per svilupparsi richiede un aggiornamento delle figure professionali e un ripensamento da parte dei singoli istituti sul loro posizionamento in un contesto competitivo sempre più complesso e diversificato.

Tuttavia se il cambio terminologico è testimonianza dell’evoluzione delle pratiche di ricerca, non va perso di vista il trait d’union che lega passato e futuro, il concetto di qualità.

La qualità è qui riferita principalmente al dato, in relazione alle sue modalità di raccolta e trattamento. Il valore della ricerca non dovrebbe essere calcolato considerando solo elementi quali il numero di interviste o l’accessibilità all’informazione, ma prendendo in considerazione anche l’affidabilità e l’accuratezza del processo alla base dell’estrazione dell’informazione da quella “materia grezza” che è la vita delle persone.

Ma ricordare questo significa – paradossalmente – riaffermare l’importanza del fattore umano, sia nella creazione dei processi di raccolta e trattamento dell’informazione (a volte dimentichiamo che le tecnologie sono artefatti “umani”), sia nell’operazione fondamentale di connettere e interpretare i dati per dare loro un significato in collaborazione con i clienti. I dati sono muti, piccoli o grandi che siano. Noi diamo loro la voce!! Almeno fino a quando l’Intelligenza Artificiale non ci avrà completamente sostituito… ma questa è un’altra storia 😉